4.10.10

La venerabile tradizione palermitana del cibo di strada.

Pensateci bene prima di chiedere una focaccia a una bancarella per strada a Palermo. Molto probabilmente, l’unica cosa familiare in quello che vi ritroverete in mano, sarà una pagnotta al sesamo, che il venditore aprirà nella parte centrale per togliere la mollica, mettendoci poi dentro fettine di milza di vitello e strisce di polmone stufate e poi fatte friggere nello strutto, il tutto sormontato da un po’ di scannaruzzatu (cartilagini prese dalla gola del vitello). Indispensabile è una spruzzata di limone: il succo si insinua piacevolmente nell’unto del sugo di cui è imbevuta la focaccia, creando una sensazione al palato sostanziosa e malleabile al tempo stesso.
Questa focaccia, o, volendo essere più precisi, questo pani ca’ meusa (pane con la milza) è il piatto feticcio della venerabile tradizione palermitana del cibo di strada. Alla famosa Antica Focacceria San Francesco offrono un pratico antipasto misto che è un campionario di prelibatezze urbane come le arancine (sferette di riso, piselli e ragù di carne impanate e fritte), gli sfinciuni (piccole pizze quadrate, legegre ma oleose, condite in vario modo, con cipolla, formaggio, origano, olive e così via) e una minifocaccia maritata (cioè pani ca’ meusa “maritato” con la ricotta).
La Sicilia è probabilmente la regione italiana che ha la cucina più caratteristica fra tutte. In un mondo sempre più assuefatto alla cosiddetta dieta mediterranea, la cucina siciliana resta spiazzante e tenacemente insolita.

Nota 
E’ uscito nel 2009 per Laterza uno straordinario libro di John Dickie, uno storico inglese appassionato di cose italiane e siciliane, Con gusto. Storia degli italiani a tavola. Il brano che ne ho ricavato non parla di tavole imbandite, ma dello straordinario cibo di strada palermitano. La ragione per cui l’ho scelto tra i tanti passaggi curiosi, interessanti, ottimamente scritti che si trovano nel libro, non è difficile da indovinare: è la forte (a volte insostenibile) nostalgia di una città tra le più belle del mondo, per i suoi colori, odori, sapori, per la sua parlata sguaiata ed eccessiva. Non si può “dimenticare Palermo”. Non credo che valga solo per me che ci ho trascorso gli anni più intensi della gioventù, che ci ho studiato, amato, lottato; credo che valga per molti, per quasi tutte le persone che hanno sensibilità e intelligenza e hanno avuto la gioia di conoscere quella città poco più che superficialmente. Me ne accorgo quando parlo con loro: qualunque sia la loro origine o la loro residenza attuale, appena pronunci il nome di Palermo, i loro occhi s’illuminano. (S.L.L.)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Corrado Marino Ovviamente Caro Tore, anche Napoli ha la sua tradizione del cibo di strada, dal pane con le classiche salsicce e friarielli, alla "zuppa di carne cotta" (interiora e trippa di vitello con il muso del porco) semplicemente bollite e accompagn...ate da freselle immerse, abbondante sale e pepe e innaffiato da marsala vergine, era il piatto che mangiavano tra l'altro gli scaricanti ai mercati generali alle 4 del mattino; oramai sono pochi i ritrovi napoletani in cui è possibile ancora mangiarla, senza dimenticarci della "Pizza fritta ripiena di ricotta" detta lapizza "oggi ad otto" perchè la pagavi la settimanadopo che l'avevi mangiata, ovviamente erano i venditori del quartiere che segnavano il nome dell'acquirente! (famosa la scena della Sofia Loren (pizzaiola) nel film " l'oro di Napoli" in cui si vede chiaramente il marito della Loren che segna il nome del cliente che gli ordina la pizza!

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